Luca Colaneri - Photographer
  • Home
  • Things I have seen
    • The Cone of Light
    • AltroSenso
    • Ludza
    • Queens
    • L'Asino Della Classe
    • Summer '11
  • Blog
  • About
  • Contacts
  • Links

L'Asino della Classe

I nostri nonni abbandonarono le campagne per incominciare una vita nuova fra le braccia aride delle metropoli. Un tempo l’individuo pensava di emanciparsi, dal punto di vista sociale, lasciandosi alle spalle il sole accecante e la terra madida del sudore della sua fronte. Il lavoro della terra era una schiavitù da cui affrancarsi e da risparmiare alla propria prole, si lavorava sodo per permettere ai figli di studiare, affinché entrassero a far parte dell’intellighenzia, dell’élite intellettuale, della classe dirigente e potessero così cavalcare il progresso e riscattare finalmente le loro origini.

   Natura e cultura si scontrano e incontrano all’interno dell’essere umano, dell’animale razionale che da sempre è condannato ad essere l’arbitro dell’eterna lotta fra il suo lato bestiale e il suo lato cerebrale. Il lavoro manuale, quello che richiede spalle più grandi ma che si avvale meno della “ratio” umana, viene spesso relegato fra quei mestieri che sussistono per motivi legati alla miseria o all’ereditarietà della professione; di rado si pensa ai lavori non intellettuali come a scelte figlie di quella stessa “ratio” che per molti spinse i nostri avi ad abbandonare le rassicuranti campagne.

Nella comunità montana di Germagnano, vivono due  giovani di ventotto anni che si sono laureati  in storia. Nata e cresciuta in città, come tanti giovani hanno seguito un percorso accademico, hanno studiato,  studiato e studiato, perché la conoscenza rende liberi, eppure la loro cultura non gli ha mai regalato quella soddisfazione professionale che dopo una certa età tutti vorremmo ci fosse concessa. Ora allevano asini in un consorzio nascosto tra le morbide colline della valle tiberina; ne ha trenta, ma ne vorrebbero almeno duecento. Li nutrono, li curano, li mungono, sono felici. Quando andai a incontrarli la prima volta, da bravo cittadino, non invidiavo laloro condizione. Anche io ero piegato a quella arrogante concezione per cui il lavoro, nella sua accezione più semplice, originale e genuina, è per chi non ha niente di meglio da fare, e, come è ovvio, mi sbagliavo. Probabilmente bisognerebbe smettere di rendere le facoltà del nostro intelletto schiave di quegli schemi mentali limitanti che identificano l’ignoranza col lavoro manuale e l’intelligenza con il lavoro “di cervello”. Probabilmente, in una società che esclude l’individuo, che lo fa sentire una parte infinitesimale di un marchingegno che non riuscirà mai a conoscere davvero, saltare fuori dall’ingranaggio infernale per tornare a toccare con mano il frutto del proprio lavoro è la più coraggiosa presa di posizione intellettuale ed esistenziale a cui si possa pensare.

Powered by Create your own unique website with customizable templates.